Successo per la serata inaugurale al Grande, con l’orchestra diretta da Pier Carlo Orizio
A Teatro Grande gremito e scintillante, nonostante le mascherine, ieri sera il Festival Pianistico n. 59 “Novecento Suite” è stato inaugurato dalla Filarmonica, diretta da Pier Carlo Orizio, solisti i pianisti virtuosi Alessandro Taverna ed Alexander Romanovsky. Questi si sono da prima riservati un concerto solistico ciascuno, infine, riuniti, hanno interpretato il “Concerto per due pianoforti” di Poulenc. Per primo la Filarmonica ha accompagnato Taverna, che ha presentato il Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra op.13 di Britten, opera mai eseguita al Festival.
Questo concerto, il primo lavoro pianistico del compositore britannico, è difficilissimo come tutte le opere pianistiche di Britten, ed è particolare. È in quattro tempi, è eclettico come stile, è fondamentalmente neoclassico, ma Britten cerca di esimersi dalle convenzioni; inoltre non ha note didascalie musicali. Il 1° tempo si chiama Toccata, ma è in forma sonata. Dopo la Toccata (il movimento migliore), ci sono un Walzer e un Impromptu. Tempi più convenzionali, ma che anticipano il finale, una singolare Marsch molto inglese, ma anche debitrice a Strawinski (Circus Polka).
Anche l’orchestra grande è continuamente chiamata in causa: crea i momenti diversi, continua ad entrare nel discorso, si distingue. È un’alternanza, una gara. Il concerto, una chicca per il Festival, è abbastanza piaciuto ed è stato vivamente applaudito, come i suoi interpreti, specie Taverna, che ha sostenuto una vera e propria sfida; ma il pubblico si è scatenato quando ha concesso per bis un boogie-woogie.
Rachmaninov. È venuto alla ribalta poi un altro beniamino del pubblico, il pianista Romanovsky. L’ucraino, sempre accompagnato dalla Filarmonica guidata da Orizio, ha offerto la “Rapsodia su un tema di Paganini” op. 43 di Rachmaninov, che dire che è difficile è dir poco. L’opera che si basa su un tema arcinoto, quello del Capriccio n. 24 di Paganini, si articola in 24 variazioni (di cui la più famosa è la numero 18, un canto espressivo slanciato, liquido, di alto lirismo) e non è tanto un altro omaggio all’artista italiano, ma al funambolico Liszt degli “Studi di esecuzione trascendentale da Paganini”
Il fluido Romanovsky ha eseguito splendidamente, da par suo, la Rapsodia ed è stato molto applaudito. Ha concesso due bis di Rachmaninov, l’Elegia ed un celebre preludio.
Infine il “Concerto per due pianoforti e orchestra” di Francis Poulenc ha visto la Filarmonica assottigliarsi, e ricomparire i due pianisti informazioni di duo. Il Concerto di Poulenc è del 1934, ma quale differenza con quello di Britten! Questo è un Concerto bellissimo, molto conosciuto e non solo per ragioni di repertorio. È scanzonato, eclettico, nostalgico, ma lo è volutamente, senza ingessature. Ed è caratteristico, una molteplicità di atteggiamenti tutti da cogliere.
La Filarmonica ed Orizio si sono molto impegnati e si sono distinti soprattutto in Rachmaninov, dove hanno dimostrato passione. Poulenc, per i pianisti, costituiva un’ulteriore prova: d’assieme, di spirito, di intenzioni. Ma specialmente, una prova di fantasia.
Fulvia Conter
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