Per Alessandro Taverna, stasera al Teatro Grande, «Vienna è un laboratorio in cui è accaduto di tutto»
È il mondo degli antieroi, degli artisti imprevedibili, dei cuori sensibili, ostinati, marginali, eccentrici, quello scelto da Alessandro Taverna nel suo récital per il Festival Pianistico Internazionale, oggi alle 20 al Teatro Grande di Brescia. In programma: Alban Berg, «Sonata op. 1»; Franz Schubert, «Wanderer-Fantasie D 760»; Friedrich Gulda, «Aria, Preludio e fuga»; Johann Strauss, «Schatz-Walzer op. 418 (Valzer del tesoro)», arrangiamento di Ernst von Dohnányi; Adolf Schulz-Evler, «Arabeschi su temi di Johann Strauss (Sul bel Danubio blu)».
«Il titolo “Vienna skyline” del Festival di quest’anno mi ha immediatamente intrigato, lasciandomi ampio spazio di manovra – racconta Taverna -. La mia scelta è caduta su percorsi poco appariscenti, su artisti dotati di acuminati sguardi introspettivi, capaci di trasformare la loro umile quotidianità in grande musica: “condannati” al suono, eppure dentro un’esistenza ordinata in binari consueti. Anche le composizioni a noi più vicine (penso a Gulda) guardano al passato, al Barocco, all’epoca dei padri; la Sonata di Berg appartiene a un’epoca tardoromantica, brano estremamente denso, iper-espressivo, dissonante e teso. Vienna è un crogiolo in cui è accaduto di tutto, un laboratorio attraversato da un incessante e interessantissimo fermento di rielaborazione».
Alban Berg, della seconda triade viennese, è forse il meno frequentato in concerto…
Confermo. Se escludiamo le sue celebri opere liriche, Berg è ancora scarsamente conosciuto dal grande pubblico. È capace di usare i medesimi ingredienti del secolo XIX (armonia, timbro, ritmo, melodia), ma estremizzati, portati alle loro conseguenze finali, fino a rendere irriconoscibili le coordinate estetiche di partenza. La sua scrittura pianistica è davvero ardua: continua a scrivere “legato” ma è assai difficile rispettarlo. Rimanda sempre a un oltre di impervia comprensione.
Ha detto che «il livello tecnico è solo il primo scalino, il più appariscente». Cosa significa?
La tecnica è una costruzione meccanica, al servizio dell’idea. Prima, e dopo, viene il pensiero. Anche l’architettura e la scrittura sono frutto della mente creatrice. Non si parte dalla fisica ma dallo spirito. Di fronte alla nostra modernità, così brulicante di domande (sulla società, sull’estetica, sul ruolo del pianista e dell’arte in generale), con i miei concerti tento di formulare risposte. Qualche anno fa mi sentivo più fragile e impotente, condizionato dal contesto. Oggi mi sento maturato. Appartengo al mio tempo, vi entro in dialogo. Non ho pretese salvifiche. Esprimo proposte, innesco processi di consapevolezza negli ascoltatori. Sono un po’ come il portiere nel calcio: faccio una partita speciale nel consesso culturale, spesso solitaria, però essenziale. Ogni mio gesto è supremo e decisivo: non conosce il superfluo, non ha il privilegio dell’errore.
Enrico Raggi
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