Prosegue l’omaggio del Teatro Comunale a Beethoven, di cui il mese scorso cadeva il 250° compleanno. Dopo le Sinfonie, ecco i 5 Concerti per pianoforte orchestra, eseguiti a porte chiuse per il pubblico del web, da oggi sul canale YouTube del Teatro, in tre domeniche successive (ore 17.30). A dirigere l’orchestra è sempre Asher Fisch. Pianista dell’integrale dei Concerti, il trentenne Alessandro Taverna, veneziano di nascita e studi, ma formatosi al concertismo nell’Accademia Pianistica di Imola: un’esperienza fondamentale, ci dice.
“Cominciata da studente nel 2003, prosegue ora con l’inversione dei ruoli, essendo stato chiamato a Imola come docente. In questa bottega di alto artigianato ho avuto l’occasione di avvicinare grandi pianisti, sia didatti sia concertisti; ma l’impronta fondamentale mi è venuta da Franco Scala e gli altri docenti stabili: Rattalino, Petrushansky, Margarius, Lortie. Fra le masterclass, ho un particolare ricordo del compianto Zoltán Kocsis e della sua visione orchestrale del pianoforte: personalità non facile, ma davvero speciale a livello umano”.
Imola è oggi un passaggio obbligato, per il giovane pianista?
“Io vi ho trovato una realtà per me irripetibile. Non l’ho scelta a caso, pensando che ci fosse qui l’eredità di una tradizione pianistica italiana che sono personalmente interessato a seguire e alimentare. Ma il percorso di ogni artista dipende anche dalle contingenze. Vi sono accademie simili a varie latitudini, con diverse caratteristiche; e anche i nostri conservatori continuano ad allineare insegnanti di alto livello. L’esperienza internazionale resta comunque fondamentale per tutti. Il confronto con i colleghi non è mai una gara, ma un arricchimento. E l’insegnamento è un’occasione per mettersi allo specchio: un vero laboratorio sperimentale! Posso dire, come esempio, che io ho cominciato a guardare veramente la mia mano, con le sue potenzialità e i suoi limiti, solo nel momento in cui prendevo atto della mano dei miei allievi”.
Per un direttore d’orchestra, affrontare le nove Sinfonie di Beethoven è un’esperienza capitale. Vale lo stesso per il pianista con i cinque Concerti?
“Tendiamo piuttosto a considerare le sue 32 Sonate per solo pianoforte come il nostro maggior cimento, perché l’occasione di suonare tutti i Concerti in fila è rarissima. Ma in essi c’è uno spaccato della tecnica pianistica, c’è l’evoluzione dal pianoforte classico a quello romantico: eseguirli tutti insieme è una esperienza formativa e remunerativa al massimo”.
Quali immagini le evocano?
“Il primo Concerto lo identifico con il suo carattere giocoso. Il secondo si sovrappone in qualche modo al primo, ma aggiungendo un senso di regalità, di pompa solenne. Del terzo vorrei evidenziare il carattere stridente, il disagio che procura con certe sue soluzioni armoniche. Nel quarto sta il mio cuore, come credo quello di molti: è la visione apollinea della musica, e insieme della vita vissuta attraverso i contrasti, attraverso le domande insolute sulle grandi verità. L’ultimo Concerto rappresenta il desiderio di andare oltre i confini umani e musicali, con un atteggiamento eroico, titanico, quasi trascendente”.
E in quelle tre ore di musica totali, c’è un momento che trascende davvero la realtà umana?
“All’inizio del quarto Concerto, che comincia eccezionalmente con il solo pianoforte. Le prime note dell’orchestra che entra in punta di piedi mi commuovono ogni volta: un’emozione sovrumana, di eternità”.
Marco Beghelli
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