A Portogruaro la fine dell’estate si festeggia dal 1983 in musica. Da quell’anno, infatti, si tiene il Festival Internazionale di Musica fondato da Paolo Pellarin e Pavel Vernikov, manifestazione articolata e composita, che nel corso di quattro decenni ha acquisito un prestigio e una notorietà tali da portare a Portogruaro un numero notevole di musicisti, docenti, studenti e appassionati di musica. Sarà “Multiversi” il tema del festival di quest’anno, curato per la terza edizione da Alessandro Taverna, pianista di profilo internazionale, che fra il 25 agosto e l’8 settembre offrirà un cartellone di eventi tra nuove occasioni di ascolto, approfondimenti musicali e qualche novità. Per la prima volta, il festival aprirà le porte all’opera con un nuovo allestimento di Don Giovanni coprodotto con il Teatro Sociale di Rovigo, che aprirà la manifestazione al Teatro Comunale “Luigi Russolo”.
Con il direttore artistico Alessandro Taverna abbiamo parlato delle numerose novità che attendono i visitatori del festival dal prossimo 25 agosto nella cittadina del Veneto orientale.
2021: Ouverture, 2022: Specchi, 2023: Multiversi … Qual è la bussola che segue Alessandro Taverna nel costruire la programmazione del suo Festival di Portogruaro?
«È la consapevolezza che la musica deve guardare oltre. Dopo aver cercato, nelle due passate edizioni, di accostare in modo sinestetico la musica ad altri campi creativi e domini sensoriali, ora desideriamo guardare alle relazioni che essa genera nelle sue più svariate declinazioni e alle possibilità che da queste originano, consapevoli che rivolgersi al pubblico di oggi non significa occupare spazi predefiniti, ma avviare nuovi processi di conoscenza, in un costante processo di sviluppo».
Perché “Multiversi”?
«“Multiverso” è il termine usato dagli scienziati per descrivere l’idea che possano esistere altri universi al di là di quello osservabile. I multiversi in musica suggeriscono che il tempo e lo spazio che siamo in grado di osservare non sono l’unica realtà possibile, e ci spingono ad abbandonare le sicurezze per aprirci alla provocazione. Andare, dunque, al di là di un confine predeterminato, e indagare la dimensione teatrale e scenica, il livello della contemporaneità, l’esplorazione della musica prebarocca, la frontiera della musica non strettamente classica (con gli eventi dedicati al musical, alla musica del cinema e al medium videoludico)».
Che pubblico ha in mente per il suo festival?
«L’intenzione è quella di coinvolgere un pubblico il più vasto e trasversale possibile. Ci sono certamente i tanti affezionati che da 40 anni ci seguono con entusiasmo ed affetto, ma l’ambizione è fare di Portogruaro sempre di più il palcoscenico della sperimentazione e della contaminazione, intercettando fasce d’età che per consuetudine meno ci appartengono, allargando, come dicevo prima, i confini tradizionali che associamo alla musica classica: basti pensare, per esempio, al concerto che abbiamo dedicato alla musica dei videogames che vedrà esibirsi Davide Ferrario, musicista che ha lavorato a fianco di Franco Battiato e oggi è il producer di Max Pezzali, mentre parallelamente si dedica alla musica elettronica e al dj set».
Videogames a parte, l’apertura dell’edizione 2023 sarà comunque anomala per un festival di musica da camera come quello di Portogruaro: toccherà infatti a un’opera, al Don Giovanni, in una coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo. Come mai questa scelta? Il festival cambia pelle?
«Non direi. La scelta, da una parte, si colloca certamente nella direzione di proporre un Festival di impronta “popolare”, perché è indiscutibile il fascino che ancora oggi l’opera lirica esercita su un pubblico quanto mai ampio e variegato. Non bisogna poi dimenticare che Portogruaro beneficia del ruolo strategico di ponte tra il turismo internazionale delle spiagge del litorale veneziano e quello dell’entroterra, con lo sguardo rivolto verso est: l’opera, prodotto italiano per eccellenza, e, nel nostro caso, con un titolo che è certamente tra quelli più amati al mondo e tra i principali della produzione di Mozart, si propone dunque come un “acceleratore” per il turista e come occasione per far conoscere la nostra città e la sua tradizione musicale agli ospiti che vengono qui in vacanza.
Inoltre con Don Giovanni vogliamo celebrare lo stretto rapporto che il grande librettista e poeta Lorenzo Da Ponte ebbe con Portogruaro, la città in cui venne ordinato presbitero, dopo gli anni della sua formazione presso il locale Seminario Vescovile, oggi Collegio Marconi, dove successivamente divenne professore di retorica e vicerettore.
Significativa, infine, è anche la presenza di Christian Federici nel ruolo di Don Giovanni: il baritono triestino, infatti, si è formato proprio a Portogruaro nella classe di canto del Maestro Claudio Desderi, a testimonianza dell’efficacia della proposta formativa legata al Festival».
Ci sarà altra opera nel futuro?
«Non lo escludo. Dipenderà anche dagli spunti che ci saranno offerti dal percorso tematico che decideremo di seguire».
Altra novità: una prima assoluta del compositore Carlo Boccadoro. Di che si tratta?
«È una novità che ho fortemente voluto e sono felice che ad inaugurare questo percorso sia un grande musicista ed un acuto osservatore dell’attualità musicale come Carlo Boccadoro. Personalmente sono dell’idea che coltivare il rapporto con le grandi menti del pensiero musicale della contemporaneità sia l’antidoto all’autoreferenzialità e al culto delle ceneri e sia il modo più autentico di conservare la tradizione: alimentare il fuoco, come ci suggeriva Mahler. Un Festival dovrebbe dunque favorire occasioni per eseguire musica realmente contemporanea, se non addirittura neo composta».
Perché la scelta è caduta su Carlo Boccadoro?
«Durante la pandemia di Carlo Boccadoro ho eseguito il Primo concerto per pianoforte e orchestra (lo suonerò nuovamente a Torino con l’Orchestra della Rai ad aprile 2024): ne sono rimasto così affascinato, in particolare per le sfide tecniche richieste al limite dell’impossibile, che gli ho chiesto di scriverne un altro per Portogruaro, e sarà un grande piacere poterlo presentare in prima assoluta al Festival e vedere quale sarà l’effetto sul pubblico».
Ha in mente altre commissioni per le prossime edizioni?
«Sicuramente ci saranno altre commissioni nelle prossime edizioni».
Il programma ufficiale è stato preceduto da un preludio, “Aspettando il Festival”, che già da luglio ha presentato i giovani talenti del mondo musicale: qualche nome da seguire, a suo avviso?
«Tra tutti vorrei segnalare il concerto che ha visto protagonista la chitarrista Vera Danilina, ultima vincitrice del Concorso Pittaluga di Alessandria, e quello che impegnerà la pianista Gile Bae il 23 agosto, alla vigilia dell’inaugurazione del Festival. Ma il talento della nuova generazione di concertisti ha brillato anche nei tanti concerti a conclusione delle masterclass di perfezionamento che costituiscono l’anima formativa del Festival, ad esso legata fin dal suo esordio senza soluzione di continuità. E un altro straordinario giovane sarà il protagonista della conclusione del Festival nel concerto dell’8 settembre: il violoncellista Ettore Pagano, a cui verrà consegnato il Premio “Nuove Carriere” promosso dal Gruppo Vinicolo Santa Margherita, nostro “main sponsor”».
Il festival si conclude ufficialmente l’8 settembre con un concerto dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Donato Renzetti ma sarà seguito da un programma “dopo festival”: di che si tratta?
«È l’appendice musicale che abbiamo inaugurato da qualche edizione e che ci introduce all’autunno: si tratta di concerti associati ad eventi speciali e alla celebrazione di ricorrenze significative legate al territorio, come sarà per il concerto del 14 ottobre, in occasione del centenario della scoperta di un importante sito archeologico della vicina città di Concordia Sagittaria, cioè il Sepolcreto dei Militi.
Sarà per noi anche l’occasione per raccontare attraverso la musica il nostro territorio, ricco di unicità storico-architettoniche (i luoghi dell’arte), di visionarietà imprenditoriali di successo, di eccellenze turistiche ed enogastronomiche».
Stefano Nardelli
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