Mozart Concerto K271 “Jeunehomme”: Orchestra Sinfonica Siciliana (Boccadoro/Taverna)

3 May, 2024
9:00 pm
Politeama Garibaldi, Palermo
Concerto for Piano and Orchestra
Mozart Concerto K271 “Jeunehomme”: Orchestra Sinfonica Siciliana (Boccadoro/Taverna)
Alessandro Taverna

Wolfgang Amadeus Mozart

Sinfonia n. 44 in re maggiore KV1 81 (KV6 731)

Allegro

Andante

Allegro molto

Ancora oggi sussistono alcuni dubbi sulla paternità mozartiana della Sinfonia n. 44 in re maggiore KV1 81 dal momento che manca il manoscritto e le copie pervenuteci non sono concordi nell’indicare in Wolfgang Amadeus l’autore. Se, infatti, una tarda copia, risalente all’Ottocento, costituita da parti orchestrali provenienti dal fondo di Aloys Fuchs e oggi conservata nell’archivio degli Amici della Musica di Vienna, la attribuisce a Mozart riportando anche il luogo e la data di composizione (Roma, 25 aprile 1770), un’altra, oggi custodita presso la Staatsbibliothek di Berlino, nella quale si trova un’altra sinfonia sempre in re maggiore KV 84, indica come suo autore il padre Leopold. A rendere più ingarbugliata la questione, inoltre, contribuisce il titolo, di mano di Aloys Fuchs, apposto sull’etichetta di quest’ultima copia che recita: “2 / Sinfonie in D / per l’orchestra composte / da / Leopold Mozart”. In seguito comunque questo titolo è stato corretto da mano ignota con la dicitura, composte da W.A. Mozart / Maestro di cappella a Salisburgo, che suscita qualche perplessità per il fatto che Mozart nel 1770, anno in cui la Sinfonia sarebbe stata composta, non era maestro di cappella a Salisburgo. Infine l’attribuzione al padre Leopold è confermata dal catalogo Breitkopf del 1775, anche se la questione resta aperta, in quanto i sostenitori della paternità di Wolfgang ritengano che il compositore faccia riferimento a questa sinfonia in una lettera del 25 aprile 1770, inviata da Roma alla sorella nella quale si legge: “terminerò una sinfonia… un’altra mia sinfonia è ora dal copista che altri non è se non mio padre”. Al di là delle questioni filologiche, la Sinfonia si presenta in tre movimenti secondo il modello dell’ouverture italiana senza il minuetto. In forma-sonata, ma senza ritornello e con un brevissimo sviluppo, il primo movimento, Allegro, è una pagina di carattere gioviale e spensierato. Un clima sereno contraddistingue anche l’Andante, il cui tema principale si segnala per gli eleganti rimandi tra i primi e i secondi violini. Motivi venatori informano il primo tema del Finale, Allegro molto, mentre il secondo, su cui si basa la seconda parte si distingue per carattere leggero ed elegante.

 

Concerto mi bemolle maggiore KV 271 “Jeunehomme” per pianoforte e orchestra

Allegro

Andantino

Rondò (Presto, Minuetto, Presto)

 

Il Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra KV 271, nono dei ventisette concerti per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, fu composto tra il 1776 e il 1777 nella cittadina austriaca di Salisburgo. Il Concerto è comunemente chiamato Jeunehomme, dal nome della pianista francese, alla quale Mozart lo dedicò e che, secondo la tradizione, si recò a Salisburgo per una tournée artistica. In realtà, sebbene permangano ancora oggi dubbi sia sul nome della pianista (Jeunehomme, Jenomi, Jenami, Genomai), sia sulla nazionalità, è certo che debba essersi trattato di una donna di straordinaria bellezza con la quale il ventunenne compositore, stregato dagli occhi verdi della pianista e di lei perdutamente innamorato, intrecciò una relazione sentimentale. È altresì certo che la Jeunehomme doveva essere una vera virtuosa perché il Concerto, scritto per lei, aveva una struttura compositiva molto complessa e, sul piano musicale, addirittura rivoluzionaria. Questo Concerto, una delle pietre miliari nella produzione di Mozart, cade nel bel mezzo del secondo dei periodi in cui è suddivisa la sua attività, quello della cosiddetta prigionia salisburghese e si colloca al fianco degli ultimi grandi capolavori. Alfred Einstein, uno dei maggiori biografi mozartiani, ritenne che il Concerto potesse essere definito come l’Eroica mozartiana, quasi a voler fare un confronto con la Terza sinfonia di Beethoven. Il Concerto, le cui dimensioni, con una durata che supera la mezz’ora, sono così notevoli da stabilire una certa distanza rispetto ai precedenti della durata di 18-20 minuti, rispetta la struttura macroformale dei tre tempi classici. Un primo movimento, Allegro, in forma-sonata, un Andante in forma di romanza, un Allegro in forma di rondò.

Nell’Allegro iniziale l’attacco è marziale e solenne come accadeva nei Concerti scritti per le grandi occasioni e già fin dalle prime battute della seconda parte del primo tema, caratterizzato da frasi brevi, molto marcate e segnate dagli interventi corali dei fiati, possiamo notare un elemento di novità costituito dall’intervento del pianoforte, sebbene la consolidata forma classica prevedesse una prima sezione affidata all’orchestra e l’ingresso dello strumento solista solo nell’esposizione. Mozart, anticipando le rivoluzioni tardobeethoveniane e romantiche, o, per meglio dire, offrendo a esse un modello da imitare, presenta subito il solista come un interlocutore paritetico dell’orchestra alla stregua di un personaggio protagonista di un dramma (inteso nell’etimo greco di movimento), che si contrappone e dialoga con altri personaggi. Mozart qui si riavvicina al vecchio modello del Concerto allora rappresentato soprattutto da C. Ph. E. Bach, dove concertare significava proprio un gareggiare tra due principi sonori in condizione di parità. I contrasti nuovissimi e psicologicamente vari, che ne derivano, si ripetono a loro volta nell’elaborazione dei singoli temi. Il pianoforte, in relazione al suo scarso volume sonoro di allora, rappresenta, in questo dialogo, l’elemento femminile, il cui compito è di cantare, di sopire, magari anche di implorare e di gemere, mentre gli accenti energici e vigorosi restano affidati all’orchestra. In quanto al virtuosismo richiesto al solista, esso non è mai fine a se stesso, ma, al contrario, è sempre posto al servizio dell’idea. Nell’orchestra, che non interagisce come una voce unica, bisogna tenere distinte le funzioni, rispettivamente, degli archi e dei fiati, dei quali i primi costituiscono il personaggio antagonista, mentre i secondi, con le loro enormi possibilità cromatiche, si pongono o in relazione dialettica col solista, o come strumento di collegamento tra quest’ultimo e il Tutti. I caratteri del primo movimento, sebbene siano innovativi sul piano tecnico e stilistico e schiudano orizzonti vasti nelle dinamiche e nello sviluppo della forma concertistica, sono abbastanza in linea con l’estetica e con i migliori lavori del tempo.

L’aspetto veramente rivoluzionario di questo Concerto si riscontra nell’Andantino centrale dove un tempo quasi congelato in una lunga esposizione orchestrale in do minore ci introduce a una pagina di straordinaria bellezza. Qui gli archi e i fiati, alternandosi nella conduzione della linea tematica, il cui sviluppo è lunghissimo, si trovano impegnati nella ricerca cromatica che sarà tipica dell’ultimo Mozart e che già in questo Concertoporta a tensioni emotive assolutamente inedite fino a questo momento. I corni e i flauti, con le loro note ribattute e tenute, anticipano e, poi, rafforzano i momenti di maggiore tensione emotiva e armonica e contribuiscono a rendere perfetto il dialogo tra le diverse parti dell’orchestra. Sebbene non manchi una certa ambiguità tonale dovuta al continuo oscillare tra tonalità minori e maggiori e alla ricerca di accordi aperti, la personalità del compositore si ritrova specialmente nelle armonie che, ora fantasiose, ora espressive, indugiano volentieri sulle tonalità minori. Nell’Andantino il ruolo affidato all’espressivo recitativo sul tema principale ritorna nell’intensa coda a suggellare, con i suoi rotti e disperati accenti, l’intero tema.

Il passaggio senza soluzione di continuità al Rondò finale afferma la concezione unitaria dell’opera e anticipa, ancora una volta, concetti che saranno tipici del Romanticismo. Il terzo movimento, fin dal suo attacco, è un’esplosione di virtuosismo che scuote l’ascoltatore proiettandolo dalle atmosfere diradate dell’Andante in un mondo di luci e di suoni che assumono un andamento vorticoso. Galante, mondano, grandioso, anche il Rondò nasconde una sorpresa capace di suscitare lo stupore del pubblico, finalità che lo stesso Mozart aveva cercato di raggiungere, peraltro, con l’opera intesa nella sua unità e totalità. La sezione centrale è, infatti, occupata da un lungo e lirico Minuetto il cui tema è affidato al pianoforte e, alla fine, il Rondò si chiude con un’esplosione di giochi pirotecnici attraverso i quali si attua il ritorno al tema iniziale.

Questo Concerto non ha nulla da invidiare ai futuri grandi Concerti per pianoforte, perché, sebbene vi si trovi ancora l’abbondanza dei temi tipica del giovane Mozart, è tuttavia quanto mai geniale il suo modo di servirsene. Va ricordato innanzitutto il singolare procedimento attraverso il quale i vari temi si collegano fra loro. Spesso l’inizio dell’uno si aggancia alla fine dell’altro come se un’idea generasse l’altra. Infine, a titolo conclusivo, è opportuna ancora una riflessione: per il Jeunehomme si parla spesso di concezione operistica della musica e la definizione può considerarsi corretta solo in termini di anticipazione di realtà musicali future. Infatti sarebbero passati altri cinquant’anni prima che la concezione teatrale della musica strumentale trovasse le sue formulazioni teoriche. Di questo Concerto non si hanno notizie circa la sua première, ma si ha un preciso resoconto di una sua esecuzione nel 1777 a Monaco, con lo stesso Mozart al pianoforte.

 

Dmitrij Dmtrevič Šostakovič

Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70

Allegro

Moderato

Presto

Largo

Allegretto

 

“Sì, penso già alla mia prossima sinfonia, la Nona. Se potessi trovare un testo che mi convenga, mi piacerebbe non comporla per la sola orchestra ma aggiungere un coro e dei solisti”.

In questa risposta a un suo collega è contenuto il primo accenno di Šostakovič alla composizione della Nona sinfonia, alla quale il compositore nell’inverno del 1944-1945 lavorò inizialmente con un certo ardore tanto che alcuni amici ebbero modo di ascoltare le prime battute appena abbozzate. Dopo questo iniziale impulso creativo, che aveva portato Šostakovič a completare in pochi giorni l’esposizione e lo sviluppo del primo movimento, la composizione dell’opera fu in modo del tutto inspiegabile interrotta tanto che seguì un periodo un periodo di silenzio e di stretto riserbo da parte del compositore su questa sinfonia, finché nell’estate del 1945 fu l’agenzia Tass ad annunciare la prossima prima esecuzione della sua Nona sinfonia, un’opera che, si leggeva nel comunicato, «era dedicata alla nostra grande vittoria». Proprio in quell’estate e precisamente tra il 26 luglio e il 30 agosto nella quiete della Casa dei Compositori di Ivanovo, costruita con lo scopo di dare ai musicisti, in quei difficili anni, l’opportunità di continuare a comporre garantendo loro le condizioni di vita di base soprattutto nei mesi estivi, la Nona sinfonia vide la luce in un prodigioso stato di grazia, come testimoniato dal suo amico Danil Jitomirski, il quale scrisse:

“A quell’epoca, oltre a Prokof’ev, Glière e Kabalevskij incontravo molto spesso Šostakovič. Quel mese di agosto fu estremamente piacevole e propizio a ogni forma di svago. Ma Šostakovič non ne approfittò per niente. Non sopportava di rimanere inattivo e aveva orrore a sprecare il suo tempo senza far nulla. È per questa ragione che non amava passeggiare lentamente, guardare le nuvole solcare il cielo, non più di quanto apprezzasse gli incontri casuali che erano portatori soltanto di inutili chiacchiere […]. All’osservatore esterno, la composizione della Nona sinfonia dava l’impressione di farsi «tra altre cose». Il suo autore non mostrava alcun segno particolare di interesse e nemmeno di concentrazione; tuttavia, il processo di creazione proseguì in modo molto intenso. Šostakovič si sedeva tutte le mattine a un piccolo tavolo per due o tre ore. Non reclamava allora né la solitudine né il silenzio […]. Per ogni movimento, leggeva uno schizzo schematico (definendo soltanto due o tre voci preponderanti), poi scriveva in bella tutta la partitura. Creò con una facilità e una rapidità sorprendenti quest’opera cesellata come un gioiello”.

Alla prima esecuzione, avvenuta a Leningrado il 3 novembre 1945 sotto la direzione di Evgenij Mravinskij, la sinfonia fu accolta in modo piuttosto tiepido sia dal pubblico che rimase sorpreso dal fatto che questo lavoro, nella sua globalità, non fosse affatto grandioso, dal momento che non superava in durata il solo primo movimento della Settima o dell’Ottava, sia dalla critica. In realtà tutto era andato secondo le previsioni del compositore il quale aveva dichiarato: «i musicisti la suoneranno con piacere, ma i critici la stroncheranno».  In effetti così fu: Israel Nest’ev, oltre a condannare sulla rivista «Cultura e vita» il «cinismo» e la «fredda ironia» della musica, attribuiti da lui all’influenza di Stravinskij, affermò, infatti, che questo lavoro di Šostakovič era sorprendente e molto lontano «dalle emozioni che tutti provano attualmente». Contrastanti i giudizi anche in Occidente e, se, dopo la prima esecuzione negli Stati Uniti avvenuta a Tanglewood, il 25 luglio 1946, questa sinfonia fu ritenuta su un giornale «diversa dalle altre opere di Šostakovič», «banale» e «così poco suggestiva e priva d’interesse», Sergei Kussevitzki la definì come «una delle più belle fra le nostre opere contemporanee». In Unione Sovietica questa sinfonia, nata come ultimo tempo di una trilogia dedicata alla celebrazione della vittoria della nazione sovietica contro la Germania nazista, fu ritenuta troppo gaia e spensierata e per questo priva di contenuto e soprattutto di quella grandiosità che corrispondeva alle attese del pubblico e della critica. In realtà questo aspetto era stato notato già in occasione di un’esecuzione con il compositore e Svjatoslav Richter al pianoforte, avvenuta due settimane prima di quella ufficiale, davanti al comitato incaricato degli affari artistici. Il critico David Rabinovič, ricordando questo evento, scrisse: “Ci aspettavamo tutti una nuova fresca sinfonia monumentale, e scoprimmo qualcosa del tutto differente, qualcosa che ci scioccò immediatamente per la sua singolarità”.

Vicina al modello neoclassico, la Sinfonia si apre con un Allegro di appena cinque minuti, in cui appare evidente l’influenza di Haydn. In forma-sonata, questo primo movimento si impone immediatamente per il carattere gaio dei due temi che non sono messi in contrapposizione tra di loro nemmeno nello sviluppo dove manca il carattere drammatico, tipico di questa sezione, a favore di un’elaborazione tematica di ascendenza haydniana. Di rara bellezza è il secondo movimento (Moderato) che si segnala per un lirismo di carattere meditativo pieno di sfumature armoniche e di colori. Il tono gaio dell’Allegro iniziale ritorna nel terzo movimento (Presto), formalmente uno Scherzo, mentre il successivo Largo è di carattere contrastante soprattutto nell’episodio solistico del fagotto e negli interventi drammatici degli ottoni che ricordano alcuni passi dell’Ottava sinfonia. Il clima gaio e satirico, che aveva contraddistinto lo Scherzo ritorna nell’ultimo movimento (Allegretto) che si conclude con una vorticosa coda.

 

Riccardo Viagrande

 

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