Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi, 20-21 settembre 2019
Paola Pini
Il terzo concerto di questa Stagione Sinfonica ne ha concluso la prima parte. Contrariamente alla programmazione abituale, essa si interrompe infatti a questo punto per riprendere a febbraio 2020 e alternarsi alla lirica, al balletto, alla stagione “Da 0 a 100…& più” e ad altri eventi speciali.Tutto francese il programma della serata; all’incontro tra il pianoforte e l’orchestra secondo Maurice Ravel sono seguite due opere sinfoniche per sola orchestra, scritte originariamente come coreografie per balletti da Claude Debussy e Albert Roussel.
Il pianista Alessandro Taverna, giovane virtuoso, ha infuso tanto brio alla sua interpretazione; la sua interessante lettura delle due opere di Ravel ha permesso di cogliere con chiarezza gli elementi distintivi di ognuna. Il Concerto in re per pianoforte e orchestra, per la mano sinistra risulta denso e profondo, anche grazie all’iniziale tappeto sonoro dell’assieme da cui nasce un’esplosione di solarità, primo innesco per un dialogo intenso tra il solista e l’orchestra. Tutto si svolge come in un incontro tra individualità distanti e separate fra loro, che tali si mantengono senza mai fondersi veramente né mai trascurare un accenno grottesco e surreale capace di alleggerire ogni cosa, tanto che in alcuni momenti sembra di trovarsi di fronte a uno scenario creato con ironia da Salvador Dalì.La tensione esecutiva del solista, ben incastonata nell’assieme, dona ulteriore profondità ai colori delle diverse sezioni orchestrali conferendo al tutto una sorta di tridimensionalità.
Di ulteriori suggestioni si nutre il successivo Concerto in sol per pianoforte e orchestra, scritto da Ravel nello stesso periodo. L’elemento brillante e dinamico si arricchisce di essenze esotiche; dalla frammentarietà organizzata del primo movimento, interpretata da Alessandro Taverna con coinvolgente partecipazione e notevole fluidità si passa alla dolcezza intima dell’ Adagio e qui l’evidente sensibilità del solista sembra passare fisicamente al suono del pianoforte. Gli interventi orchestrali ne sottolineano l’intensità ed ecco che sembra di stare sospesi nel gentile oblio di una linea d’orizzonte ideale, con la certezza di non correre mai il rischio di cadere, quasi dimentichi di se stessi, prima di giungere al presto conclusivo carico di un espressionistico ritmo serrato. Travolgente il bis: Play piano play di Friedrich Gulda.
Jeux – poème dansé per orchestra di Claude Debussy conduce il pubblico in una dimensione onirica ed ipnotica sorprendente nella sua essenzialità evocativa. Il soggetto della coreografia è minimo: la ricerca da parte di alcuni giovani di una palla da tennis in un giardino immerso nell’atmosfera notturna illuminata dalla luce artificiale delle lampade. Da ciò Debussy crea un mirabile ricamo, che l’Orchestra della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste, diretta da Paolo Longo con gesto morbido e per niente ridondante, rende al meglio facendo emergere con levità l’elemento magico che la domina, assieme a una dimensione lunare e sognante, circolare come la struttura fisica della palla da tennis, vera protagonista di queste splendide pagine.
Tanto asciutto è Jeux, quanto dettagliato è invece il successivo Bacchus et Ariane – Suite n.2 op.43. Albert Roussel trasformò infatti l’omonimo suo balletto, in due atti, in altrettante composizioni distinte mantenendo però l’articolazione dei tanti movimenti tipici di una coreografia, colpevole forse di appesantirne un po’ lo svolgimento.
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