La serata inaugurale del Festival Internazionale di Musica di Portogruaro, giunto alla quarantaduesima edizione, prevedeva due pagine musicali celeberrime: il Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in mi bemolle maggiore, op. 73 “Imperatore” di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore per orchestra “Renana”, op. 97 di Robert Schumann. Due lavori straordinari che di là di sottili disquisizioni filologiche o interpretazioni personali – Beethoven precursore del Romanticismo e Schumann che ne raccoglie il testimone – hanno una caratteristica comune e cioè quella di alleviare la vita di chi ha la fortuna di ascoltarli.
Prima di passare alla cronaca della serata voglio fare i complimenti a tutto lo staff organizzativo del Festival: il concerto è andato esaurito e di là del mero dato statistico è importante sottolineare come Portogruaro diventi per quasi due mesi una roccaforte di cultura in cui tra concerti, masterclass, workshop e iniziative varie la Musica respira con la cittadina veneta e i suo abitanti.
Alessandro Taverna, pianista raffinatissimo e anche Direttore Artistico del Festival, ha dato ennesima prova di essere artista di rango nel Concerto di Beethoven che ha aperto la serata.
L’”Imperatore” è uno di quei brani in cui è fondamentale che si stabilisca un rapporto virtuoso tra solista e orchestra, un lavoro di squadra che richiede attenzione, umiltà e dedizione.
Strutturato in tre movimenti il concerto è innervato da una magniloquenza asciutta e severa, tipica di Beethoven, all’interno della quale il pianista deve trovare equilibrio nel virtuosismo, delicatezza nel tocco e sfumature nelle dinamiche che spesso vanno a mitigare e ingentilire il contributo di decibel dell’orchestra. Per quello che vale la mia opinione, ho ascoltato un Beethoven che mi ha ricordato le atmosfere rarefatte di Ravel pur mantenendo quella solenne imponenza, quel respiro sinfonico, tipici del Compositore tedesco.
L’Orchestra di Padova e del Veneto ha risposto in modo eccellente in tutte le sezioni alle sollecitazioni del bravissimo Marco Angius sul podio – direttore e solista spesso si scambiavano cenni e sguardi – che ha optato per agogiche meditate ma mai slentate e dinamiche complessivamente contenute alle quali forse, ma potrebbe dipendere dalla mia posizione in sala, è mancato qualche slancio eroico più marcato.
Ovazioni meritatissime all’intervallo per tutti e bis dedicato a Paolo Fazioli, presente in sala, che festeggiava i suoi musicalissimi ottant’anni.
È stata poi la volta di Robert Schumann, colto in una delle sue pagine più celebrate e cioè la “Renana”.
Nella singolare distribuzione i cinque movimenti convivono felicemente molte suggestioni che vanno dalla danza alla musica fortemente caratterizzata dal territorio, quasi fosse un racconto esperienziale che io, nella mia perversione di fotografo dilettante, ho percepito anche in istantanee di vita e di paesaggio.
E così il Reno mi scorreva in qualche modo davanti agli occhi, con le sue anse, le sue immacolate oasi selvagge e il solenne scorrere perpetuo ricco di storia e di creazioni artistiche straordinarie che da quell’acqua, da quelle fonti hanno tratto ispirazione.
Marco Angius anche qui è stato il catalizzatore di tante magnetiche influenze espresse attraverso il suono compatto e contemporaneamente analitico della sua orchestra in cui, nell’ambito di una prova eccellente, hanno brillato legni e ottoni.
Alla fine successo calorosissimo e meritato per tutti da parte di un pubblico bello, giovane e non solo, ma soprattutto contento di vivere la grande musica nella propria città.
La recensione si riferisce alla serata del 16 luglio 2024.
Paolo Bullo
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