In due giorni di autentica “selva armonica” la sala dei Notari è stata inondata di musica grazie a esponenti di nuove generazioni di interpreti che hanno saputo misurarsi sia con il repertorio del passato che con produzioni della contemporaneità in uno slancio creativo veramente apprezzabile. Trovandosi altresì applauditi da intere file di poltrone occupate da giovani liceali rispettosi e assorti in un impegno di ascolto che sembrava far parte di un rito di maturazione. Che qualcosa di buono stia maturando nella ampia progettazione che stanno svolgendo in maniera massiva gli Amici della Musica a favore del coinvolgimento delle generazioni di nuovi adolescenti è un dato di fatto che abbiano visto anche due sere fa a palazzo Gallenga nel concerto dei musicisti del liceo Mariotti. Non sono numeri da stadio, ma non è un ristagno, anzi il conteggio parla di cifre di un certo rilievo che macinano interesse e coinvolgimento in un percorso di crescita che ci auguriamo prosegua in questa tendenza.
Stiamo parlando di due concerti che in quarantotto ore hanno visto nella sala dei Notari alternarsi venerdì sera e ieri pomeriggio due formazioni cameristiche che sono state salutate da un più che cordiale successo di pubblico. Pianoforte a quattro mani, per il primo appuntamento e due giorni dopo il trio con corno.
Due i brani notevoli nel concerto di ieri pomeriggio, grazie alla presenza di un cornista, il britannico Martin Owen che da solo vale tutte le orchestre europee messe in fila. Con un suono potente, penetrante ed espansivo, ricco dell’arma del metallo nobile Owen è stato in grado di trasmettere la sua nobiltà di emissione a due colleghi che non hanno niente da invidiare in quanto a notorietà ed eccellenza. Eppure questi corno che si è ritagliato un incredibile spazio solistico ha fatto la differenza in una serata quasi memorabile trascinando, come un campione omerico, la violinista Francesco Dego e il pianista Alessandro Taverna. Tema della convocazione il Trio 1982 di Gyorgy Ligeti. Musica controtendenza, fuori dagli schemi dello sperimentalismo, assorta nella visione di un Brahms trasfigurato, “espressiva” quel tanto che basta per sollevare le proteste dei “duri e puri”, ma acuminata e irrorata di modernità al punto di allontanarla dai tradizionalisti. Per chi ha voluto ascoltarla con le ragioni del cuore una sorta di tramonto di Klingsor, una pagina di specchi da “Doppio sogno” di Schnitzler. Esemplare il ruolo di Taverna, ciclopico evocatore di accordi, rullo compressore di scale percosse con vigore, con il corno di Owen vagante in regioni dell’Iperuranio ad aggiungere inquietudine e timore. Il violino poi, estatico nelle sue “quinte”, quasi partecipe di un altro gioco. Con questi Trio, pensato più di quaranta anni fa, Ligeti sembrava pensare a un mondo migliore, senza ignorare le lacerazioni in campo. Il suono del corno, nella sua roca e oscura allusività, proprio quando squillava in alto, sembrava voler far sentire il peso della sua inutile protesta.
Il successivo inserto solistico di Owen, “Appello interstellare” di Messiaen, andava contestualizzato nell’anno in cui è stato scritto, il 1974, anno celebrativo del bicentenario della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. Ambizioso, per quanto bislacco, il percorso suggerito da una magnate americana, dai “canyon alle stelle”. Per colmare l’abisso tra il progetto e la sua realizzazione Messiaen ci ha messo del suo col consueto diaframma religioso, ma ciò non toglie che il pezzo suoni di un comico irresistibile, con tutti quegli effetti “ornitologici” che il prodigioso solista deve trarre dal corno. Siderale, olimpionico il ruolo di Owen, chiamato a una prestazione dai contorni sbalorditivi. Ancor percossi dalle due novità contemporanee siamo entrati nel giardino fiorito del Trio di Brahms, la magica opera 40, per trarne tutte le dolcezze possibili. Oltretutto, per chi ricordava le giovanili audizioni di Langbein, Branin e Maureen Jones, così intrise di nostalgia, ecco con i nostri tre giovani una nuova tinta smagliante, atletica, imperiosa.
Un pensiero particolare per la violinista Francesca Dego, visibilmente interessata da una imminente gravidanza. La sua “cavata” nella iniziale Sonata op. 105 di Schumann, era intriso di un senso di fecondità e di pienezza che era un vero inno alla vita.
Stefano Ragni
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