Accoppiata beethoveniana in nome del repertorio per Diego Ceretta, fresco Direttore principale dell’Orchestra della Toscana, nominato nello scorso mese di marzo.
Scorrendo la locandina verrebbe da dire che si tratta di un programma scontato, con due composizioni arcinote e forse persino inflazionate, ma alla resa dei conti è stato assai interessante scoprire le vigorose e coinvolgenti letture di Ceretta, giovane direttore appena ventiseienne da seguire con grande attenzione nei prossimi anni e che non teme di confrontarsi con pagine celeberrime del repertorio. Il Concerto n.5 per pianoforte e orchestra op.73 per una curiosa (ed evitabile) coincidenza è stato eseguito al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino da Daniele Gatti e Andrea Lucchesini meno di due settimane fa, e sarebbe certo auspicabile un maggior coordinamento tra le istituzioni musicali cittadine onde evitare, visto che il bacino di utenza in una città piccola come Firenze è abbastanza limitato, tali ripetizioni a così breve distanza di tempo.
La genesi del Concerto n. 5, l’ultimo dei concerti pianistici di Ludwig van Beethoven, risale all’anno 1809 e la pagina ebbe la sua prima esecuzione a Lipsia nel 1811; ha sempre goduto dei favori del pubblico non meno che degli esecutori, trattandosi sicuramente del più popolare (e d’immediato impatto) fra i concerti beethoveniani per strumento e orchestra. Autentica della ”forma concerto pianistico” beethoveniano sia dal punto di vista tecnico che espressivo, riceve dal quarantenne Alessandro Taverna una lettura che, fedele al pianismo luminoso e sensibile del solista veneziano, sembra quasi volerlo riportare in certi momenti ad una trascorsa classicità. Taverna non cerca i decibel ma esalta la pagina nella sua linearità, le dona luminosità e nitore; il dialogo col direttore nel primo tempo Allegro appare leggermente sbilanciato, d’altra parte Ceretta è sempre molto vigoroso e “presente” nell’interpretare la parte di accompagnamento. La situazione raggiunge un bellissimo risultato, un autentico ed emozionante “punto d’incontro”, nel secondo tempo Adagio un poco mosso, attraverso una generale atmosfera di commovente e distesa serenità, con grandi finezze sia pianistiche che orchestrali e con un “sollecitarsi” a vicenda fra direttore e solista, per sfociare nel terzo monumentale movimento Rondò, allegro ma non troppo nel quale il dialogo tra i due pare aver trovato una linea più equilibrata, molto incisiva ed efficace, verso la quale convergono la tecnica sicura del pianista e l’energia dell’accompagnamento.
Diego Ceretta ci regala poi una Sinfonia n. 3 op. 55 tesa e molto compatta, come si intuisce già dalle primissime battute del primo tempo. Il direttore sembra conoscere già molto bene l’Orchestra della Toscana (e i professori paiono avere già un certo feeling con lui) e la spreme tenendola saldamente in mano. L’incedere drammatico e grandioso della sinfonia, col suo apice emozionale e coinvolgente nella celeberrima Marcia funebre, è ottimamente evidenziato da Ceretta ma senza esagerazioni foniche o di agogica che in Beethoven sono sempre in agguato.
Come detto, l’Orchestra della Toscana (primo violino da pochi mesi è Giacomo Bianchi) si conferma compagine sicura e di grande esperienza, capace di seguire con entusiasmo il gesto preciso del direttore.
Il foltissimo pubblico del Teatro Verdi, sicuramente accorso non solo per la popolarità del programma ma anche perché sembra aver già “adottato” il giovane direttore milanese, ha riservato a tutti grandissimi applausi, ottenendo anche due fuori-programma da Alessandro Taverna, due pagine davvero desuete di Friedrich Gulda e Max Reger.
Fabio Bardelli
La recensione si riferisce al concerto del 1° dicembre 2023.
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