Tanti applausi al Teatro Regio
Una serata con Brahms è sempre una gioia, una conversazione che ti avvolge con un’intimità protetta da quella discrezione con cui il musicista amburghese apre la sua confessione. Così è stato lunedì sera – al Teatro Regio per l’appuntamento organizzato dalla Società dei Concerti di Parma – con i giovani del Quartetto Indaco, formazione già ben consolidata nella omogeneità della visione e il pianista Alessandro Taverna, i primi concentrati nel «Quartetto» in do minore dell’op. 51 per poi accogliere il pianoforte nel «Quintetto» op. 34. Nello straordinario viatico che Schumann dedicò al ventenne che gli fece visita facendogli ascoltare le prime composizioni pianistiche l’autore di «Carnaval» parlava di «sinfonie velate», di «quartetti d’archi» pensando allo sviluppo che da quel materiale poteva generarsi; come in effetti fu, ma strenuamente sofferto, delibato attraverso una sottile insoddisfazione, tanto più premente quanto impegnativo era l’obiettivo, quello del quartetto d’archi appunto con cui Brahms si confrontò prudentemente, diviso tra l’impulso affermativo e il reclinarsi nella penombra, alternativa che l’altra era i quattro eccellenti esecutori dell’Indaco hanno calibrato sapientemente attenti a che tra le maglie strette del primo movimento – c’è chi ha richiamato i beethoveniani «Rasumovsky» – circolasse pur sempre l’aria da cui irrorare poeticamente e unitariamente l’intera sequenza dei movimenti.
Diverso il caso del «Quintetto», anche se non meno tormentato nella genesi, fino a sdoppiarsi in una «Sonata» per due pianoforti: Brahms nasceva col pianoforte che diventava un interlocutore rassicurante nel dialogo con gli archi; giustamente Ales- sandro Taverna col suo pianismo sensibile ha saputo mostrarlo esemplarmente, non autoritario protagonista ma autorevole compagno di viaggio, capace di dare un senso alle sortite più decise del primo movimento come alla malinconica, tenerissima sequenza dell’«Andante». Dopo un’esecuzione così co possibile per non guastare l’atmosfera, quell’indiavolato «Scherzo» dal «Quintetto» op.44 di Schumann, sfida virtuosistica e insieme fantasmagorica, per chiudere festosamente il cerchio. Gian Paolo Minardi © RIPRODUZIONE RISERVATA
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