Michele Mariotti apre con travolgente successo la stagione sinfonica del San Carlo di Napoli con Mozart, Beethoven e Weber, solista al piano Alessandro Taverna.
Il programma della serata impone di partire da Berlino, dal romanticismo di Weber: il concerto inaugurale si apre con la celeberrima ouverture da Der Freischütz, “opera romantica” ultimata e rappresentata, appunto, a Berlino nel 1821. Quella di Mariotti e dell’Orchestra del San Carlo è un’esecuzione trascinante, pervasa da un’indomita e diffusa vitalità. Ed è proprio l’inestinguibile flusso energetico la costante dell’esecuzioni dei brani dell’intero concerto; nell’ouverture da Der Freischütz percepiamo e vediamo quel netto e brusco passaggio dal cupo e brumoso adagio iniziale all’incisività del successivo ed energico allegro: è con plasticità, con accentazione vivida, che Mariotti sottolinea il senso di netta cesura tra i due tempi. Si susseguono, a seguito dello stacco deciso ed energico dell’allegro, atmosfere diametralmente opposte, nei colori orchestrali (cinereo e turgido il primo, aereo e aurorale il secondo) e nell’agogica. Staccato l’Allegro, infatti, il discorso musicale prosegue come innervato da un inestinguibile flusso magnetico che raggiunge l’acme nella trionfale stretta finale: nel corso dell’esecuzione dell’ouverture, si intravedono le atmosfere e la congerie romantica che innervano l’intera opera.
L’interpretazione di Mariotti dell’ouverture appare orientata proprio ad esaltare quei contrasti dinamici, quell’esaltazione dell’elemento irrazionale romantico così presente nell’opera di von Weber, quella giustapposizione tra i colori dei temi musicali (luminoso quello del tema di Agathe, grigio e freddo quello dell’adagio iniziale, gioioso e iridescente quello della stretta finale, in do maggiore), e, infine, quella mutevolezza di accenti, in modo da conferire energia al fluire musicale.
E se dovessimo individuare la cifra connotativa dell’intero concerto, diremmo che essa è costituita proprio dall’energia, così palpabile ed evidente, emanata dalle letture di Mariotti. Il secondo brano in programma, il Concerto per pianoforte n.21 in Do maggiore, K 467 di Wolfgang Amadeus Mozart, ci riporta nella Vienna del 1785. Mariotti e l’Orchestra del San Carlo affiancano e sostengono benissimo il pianista Alessandro Taverna, perfetto nel sapere imprimere, a seconda di quanto prescritto da Mozart, grazia, incisività, levità alla parte pianistica. Tocco raffinato e suono rotondo, tecnica salda e agguerrita, legato perfetto e seducente cantabilità consentono al giovane e affermato pianista veneziano di estrarre e amplificare la poesia e la bellezza che Mozart ha sparso in ogni nota della partitura: moderatamente rapinoso l’Allegro iniziale, pervaso da una malinconia serotina il sublime Andante centrale, gioioso nella conquistata genuina ilarità l’ Allegro vivace assai finale.
Sin dalle battute iniziali del concerto di Mozart si avverte la perfetta intesa tra Mariotti e Taverna: i tempi staccati sono improntati a una evidente e tendenziale speditezza. L’interpretazione del concerto di Mozart è tesa e vibrante come un arco; coinvolgente il fitto dialogo tra orchestra e pianoforte. È un concerto palpitante e corrosivo; analizzato osservando in filigrana le famiglie strumentali, che pulsa in ogni piega, della partitura orchestrale e della parte pianistica. L’Andante è un sospiro che non tollera cedimenti agogici: l’unitarietà del discorso musicale dell’intero concerto non subisce rallentamenti. Taverna e Mariotti sono perfetti nel creare un bozzetto crepuscolare che prelude al gioioso e quasi popolaresco Allegro vivace assai finale. L’esecuzione è salutata da applausi così prolungati e convinti che Alessandro Taverna regala un bis dal pronunciato virtuosismo, Max Reger, Variazioni e Fuga su un tema di Telemann, op. 134.
E dopo Mozart, il Beethoven della Sinfonia n. 7 in La maggiore, op.92: restiamo a Vienna, nel 1813, anno della sua prima esecuzione. La Sinfonia, “l’apoteosi della danza”, come la definì Richard Wagner, appare la sintesi più adeguata al programma e allo spirito del concerto inaugurale: con questa sinfonia Mariotti e l’Orchestra del San Carlo, compagine compatta e in buona forma, hanno l’occasione per catalizzare ed amplificare quell’energia musicale conferita da Michele Mariotti nel corso del viaggio musicale. Con l’esecuzione della Settima ad imporsi sono la varietà di accenti, la dinamica stringente che a tratti fa saltare dalla sedia. Il celebre Allegretto del secondo movimento è staccato con tempo che accentua la sua natura di danza triste; è poi la varietà dei colori orchestrali stemperata nel dialogo tra le varie sezioni a donare intensa suggestione all’intero tempo.
È una Settima, questa, sbalzata, ricca di contrasti che trovano la loro acme e catarsi nel travolgente Allegro con brio finale, staccato da Mariotti con un tempo serratissimo: l’orchestra segue il gesto del direttore perfettamente e appare anch’essa, così come il pubblico, dominata dall’energia liberatoria che la musica di Beethoven sprigiona. Dopo l’ultimo accordo, quell’energia si trasforma in applausi fragorosi e prolungatissimi.
Mariotti si concerta con il primo violino di spalla Gabriele Pieranunzi per poi decidere di bissare il quarto movimento – Allegro con brio – della sinfonia, prolungando il rapimento emotivo generato dalla sinfonia.
Michele Mariotti tornerà a dirigere l’orchestra del San Carlo il prossimo 3 dicembre, in un programma dedicato alla prima sinfonia, di Beethoven e di Schumann. Dopo un inizio così folgorante, sarebbe un delitto perderle!
Luigi Raso
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