Nella sala minore del Teatro comunale di Vicenza si sono potute apprezzare mille sfumature del suono. Violinista, pianista e cornista impegnati in Brahms e Ligeti hanno dato (ri)prova di classe e bravura regalando uno splendido concerto
Accomodarsi al ridotto del Comunale per ascoltare musica da camera ha i suoi vantaggi. D’accordo, il temporaneo (si spera) trasloco dalla sala grande, che ospitava gran parte della stagione cameristica, riporta alle drammatiche conseguenze della pandemia sul pubblico della classica, assottigliatosi un po’ in tutta Italia, ma l’acustica ne guadagna, eccome. E così tanto meglio si è apprezzato lo splendido concerto, organizzato del Quartetto per lunedì 12 dicembre, con la violinista Francesca Dego, il pianista Alessandro Taverna e il cornista Martin Owen, riuniti per esaurire il repertorio per violino, piano e corno che consta di due partiture, il trio op. 40 in mi bemolle maggiore di Brahms del 1865 e il trio di Ligeti del 1982, un omaggio dichiarato, ma piuttosto libero, al lavoro del compositore di Amburgo. Non si sarebbero apprezzate con altrettanto piacere la pulizia e l’eleganza della cava- ta di Dego, tesa e attentissima a regalare un suono tondo, bello, senza sbavature. Ma chi avrebbe colto, nella sala da mille posti, quel perfetto sussurro sulla soglia del silenzio delle corde acute, appena accarezzate dall’archetto, e il ronzio del corno a far da contrappunto, mentre il pianoforte tace dopo il potente crescendo che innerva il Lamento in forma di passacaglia a chiusura del trio di Ligeti? E pazienza per qualche inopportuno colpo di tosse. Sia alla fine benedetta questa vicinanza al suono, ad altre note lunghe, come quelle dell’adagio mesto in terza posizione nel trio di Brahms, con Owen a evocare nordiche malinconie.
A dover scegliere si dirà che i tre hanno convinto di più in Ligeti: meglio a loro s’adatta il vasto e molteplice talento dell’ungherese, il suo giocare con ritmi esotici, la sottile ironia, il richiamo all’antico. Taverna solleva sonorità inconsuete ed offre gran prova di tecnica nelle ossessive ripetizioni imposte dalla partitura. Dego domina un ampio spettro di sfumature. Owen controlla con estrema perizia il suono, ne conosce ogni dettaglio e dire che il corno è strumento riottoso.
Del trio di Brahms, che ha chiuso la serata, gli interpreti offrono una lettura intensa, energica, asciutta, forse meno romantica di quanto si faceva un tempo, ma certo pregevolissima.
Meraviglie di suono ambrato dal violino di Francesca Dego per una partitura che si muove soprattutto nel registro medio, mentre il pezzo di Ligeti tocca anche gli estremi dell’acuto e del grave. Nella prima parte il trio dell’ungherese era stato preceduto dalla sonata per violino e piano in la minore op. 105 di Schumann con la violinista abilissima a tessere un suono fondo, eppure vellutato, e Taverna accurato nell’articolazione. Dinamiche contenute, ancora resa anti – retorica e un po’ anti – romantica, ma il risultato, pur espressivamente controllato, è di sicuro fascino.
Prima del trio di Brahms, Owen da solo, a inizio della seconda parte, si è cimentato con l’Appel interstellaire di Messiaen offrendo un magnifico saggio di quali e quanti suoni si possano cavare da un corno. Sala piena più o meno a tre quarti ma calorosissimi gli applausi.
Per bis gli interpreti hanno proposto il Duet dai Fantasiestücke op. 88 di Schumann, con Owen impegnato a eseguire al corno la parte in origine per il violoncello. Chapeau.
Filippo Lovato
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