Di giovani che suonano in teatri prestigiosi ce n’è ormai un plotoncino. L’asticella di virtuosismo e preparazione è sempre più alta in merito ed è sempre più difficile farsi notare con tratti distintivi. Però quelli di Alessandro Taverna – 33enne pianista di Caorle, oggi a Villa Necchi per il ciclo “Musica nel tennis” del Quartetto – luccicano dal 2009, quando, a sua insaputa, la cassetta di una sua esibizione fu inviata alla Keyboard Trust di Londra procurandogli un concerto a Castleton, in Virginia, e uno a New York.
Cosa che di per sè non lo catapulta nel giro che conta – malgrado le spalle large “palestrate” all’Accademia di Imola (quella per super pianisti) e la medaglia d’oro al Concorso inglese di Leeds – ma fa ruotare la fortuna. E la dea bendata per Taverna si chiama Lorin Maazel. O meglio, coniugi Maazel. Perché la moglie del famoso direttore d’orchestra – l’attrice Dietlinde Turban – lo ascolta a Castleton, dove i due hanno un festival. «Ho suonato in quello invernale, che ha meno clamore di quello estivo prettamente operistico. Ma fra il pubblico c’era la signora Maazel, che telefonò al marito a New York suggerendogli di venirmi ad ascoltare nel successivo recital. Meno male che ha dato credito alla moglie, perché erano tutti e due seduti in prima fila, mi hanno invitato a cena e, a tavola, lui se n’è uscito con “dobbiamo fare musica insieme”».
Nasce così il concerto al Musikverein di Vienna, tempio della musica nel quale Taverna ha avvertito «per la prima volta la magia. Lo so, sembra un termine esagerato, ma una sensazione così l’ho riprovata solo alla Scala, quando ho debuttato l’anno scorso con l’orchestra dell’Accademia e questo febbraio con la Filarmonica e Fabio Luisi sul podio. Cioè: la consapevolezza che da lì sono passate le più grandi personalità, mi ha dato la forza di lasciare in camerino la tensione e di godermi fino in fondo l’opportunità. Come se facessi parte anch’io di una storia importante».
Anche il concerto di oggi a Villa Necchi, tutto dedicato a Chopin, se lo sta assaporando: «sono felice di combinare la musica di una pietra miliare per noi pianisti con una delle dimore più belle del Fai. Per me Chopin è un compagno di strada: affrontato a 20 anni non è lo stesso autore affrontato a 30, e sono certo che non sarà quello dei miei 40. A volte ne ho un po’ paura: ogni volta che suono la Sonata n. 3 mi domando se ho l’esperienza di vita per farla al meglio e mi riprometto di riprenderla a 50 o 60 anni. Ma la cosa strana è che poi la infilo dentro a ogni programma, incluso quello di oggi. Come se tentassi di capire a che punto è arrivato il mio sviluppo». Guardiamo lontano: a che punto arriverà? «Adoro Abbado, e dopo la “sua” Filarmonica scaligera mi piacerebbe suonare coi “suoi” Berliner. Forse è tantissimo, ma i sogni si fanno in grande».
Nicoletta Sguben
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